In un periodo come quello che stiamo attraversando, in cui ogni cosa futura ci appare nebulosa e ci pervadono la nostalgia e la voglia di tornare alla normalità, la Natura continua a sorprenderci, quasi incoraggiandoci, quasi a sussurrarci dolcemente: “nulla è perduto!”.
Più volte, nel corso della Storia, la Natura è stata capace di rinascere dalle sue stesse ceneri, come la celeberrima “Araba Fenice”, a rialzarsi, a ripartire.
Se passeggiassimo sull’Etna e sulle sue rocce vulcaniche ci accorgeremmo che, laddove tutto sembra deserto e cenere, a testimonianza di ataviche pregresse colate vulcaniche, laddove parrebbe non esserci possibilità di rinascita, laddove sembrerebbe esservi soltanto una “morte dell’Anima” – quantunque anche il “deserto lavico” etneo abbia un suo intrinseco fascino e una sua immane preziosità – la Vita ci spinge alla Speranza attraverso lo scorgere di un alberello che spunta qua, una piantina là, sbucando e facendosi strada tra le asperità rocciose.
Perfino nel bel mezzo di quello che potrebbe apparirci come una distesa arida e sterile la Natura ci dà prova della sua caparbietà, colonizzando anche la roccia più nera con i suoi Licheni che, non a caso, sono denominati “organismi pionieri”.
Già, “pionieri” poiché, come i vecchi film western ci hanno simpaticamente insegnato, sono proprio i pionieri i primi coloni.
I Licheni meritano questo appellativo in quanto sono i primi a colonizzare un ambiente che ci potrebbe apparire, di primo acchito, impervio e inospitale e, alcune volte, possiamo perfino notarli sulle vetrate delle chiese o su alcuni monumenti.
Essi sono un esempio di simbiosi mutualistica, ovvero un’associazione tra organismi, denominati simbionti, che da tale “convivenza” traggono reciproco vantaggio.
Nello specifico, i Licheni sono costituiti dalla simbiosi tra un cianobatterio o un’alga eucariote (Cyanophyta) e una determinata specie di fungo e, a seconda delle specie di alga e fungo coinvolte nella simbiosi, cambia la morfologia e la tipologia di Lichene.
Qualcuno tra voi potrebbe storcere il naso: potrebbe sembrare assurdo che in montagna esistano delle alghe dal momento che, in genere, si pensa siano presenti esclusivamente in ambienti acquatici. Ora, leggendo, dovrebbe ricredersi.
Nella costituzione dei Licheni i funghi che contraggono simbiosi mutualistiche con un’alga sono per lo più funghi detti “Ascomiceti”. Ma perché mai un fungo e un’alga dovrebbero unirsi tra loro? Di che vantaggio si parla? I funghi sono organismi incapaci di effettuare la fotosintesi e, pertanto, sfruttano le alghe con le quali si associano per riceverne le sostanze organiche che esse producono mediante il processo fotosintetico – e.g. glucosio e altri carboidrati – .
E l’alga? Anch’essa trae vantaggio associandosi con il fungo: essa infatti riesce a proliferare su substrati poveri di acqua che normalmente e in solitudine non avrebbe mai potuto colonizzare. Inoltre, essendo l’alga un organismo autotrofo, ricava dal fungo ciò di cui ha principalmente bisogno per compiere la fotosintesi: acqua e sali minerali. Un “do ut des” vero e proprio.
Come detto, vi sono casi in cui il Lichene sia formato da un Cianobatterio azotofissatore e, in questo caso, riesce a ottenere carbonio e azoto, un meraviglioso e superbo esempio di come l’associazione simbiotica possa portare alla colonizzazione di ambienti impervi: i Licheni, infatti, possono sopravvivere in condizioni ambientali estreme per un lasso di tempo assai lungo.
Il fungo e l’alga, tuttavia, non sono obbligati ad associarsi tra loro per sopravvivere: essi, infatti, riescono a vivere anche indipendentemente l’uno dall’altro.
I Licheni sono interessanti anche per le diverse morfologie con cui si presentano nel nostro paesaggio. Vi sono quelli: crostosi, frondosi e fruticosi.
Qual è la differenza morfologica tra queste tre tipologie licheniche?
I primi – quelli crostosi – sono abbondanti sulle rocce laviche e quasi certamente ognuno di voi avrà avuto modo di vederli e di notarne la formazione “a crosta” sulle rocce stesse, con diverse colorazioni.
I Licheni frondosi e fruticosi sono, rispettivamente, ancorati al substrato in più punti e in un unico punto.
Oltre a essere i primi colonizzatori di ambienti particolarmente difficili, rivestono una grande importanza nel campo dell’Ecologia Applicata: essi, infatti, sono “biomarkers”.
I Licheni hanno una vasta superficie di assorbimento: ne consegue che, anche se nell’ambiente sono presenti piccole tracce di sostanze atmosferiche inquinanti esse possono essere non solo assorbite, ma allo stesso tempo perfino trattenute in quantità elevate dalla superficie lichenica.
Come si fa a capire che gli inquinanti in questione sono atmosferici e non presenti nel terreno? I Licheni non hanno radici, per cui la presenza di inquinanti assorbiti è da imputare a sostanze sicuramente non presenti nel suolo.
Inoltre, vi sono Licheni che risultano più “tolleranti” anche nei confronti di quantità elevate di inquinanti, senza risentirne nella struttura cellulare e Licheni più “sensibili” ad esse al punto da poter presentare delle alterazioni nelle cellule. Questa suddivisione dicotomica in “tolleranti” e “sensibili” non è identica per ogni inquinante, ma varia in base alla sostanza inquinante: in altre parole, un Lichene può essere sensibile a un tipo di inquinante e tollerante per un altro.
Ciò ha un notevole impatto applicativo: in tal modo, infatti, mediante la sofferenza o la sopravvivenza di determinate Specie, i Licheni ci danno la possibilità di risalire ai valori dell’inquinamento atmosferico in relazione al tasso di sopravvivenza di determinate Specie sensibili, ad esempio nei pressi di industrie, fabbriche, o altre zone fortemente inquinate.
I Licheni, dunque, sono dei validi bioindicatori per valutare e determinare il grado di inquinamento o di purezza dell’aria mediante I.A.P. (Index Atmospheric Purity) e, nel contempo, sono anche dei bioaccumulatori: se raccolti periodicamente e analizzati in laboratori chimici possono fornirci utili informazioni sulla natura degli inquinanti.
Sorprendente come la Natura ci stupisca e ci dia una mano nel cercare di indagare e risolvere i problemi che noi stessi le apportiamo.
Emozionante come miracolosamente trovi una soluzione a tutto, ora attraverso un alberello che fa capolino tra rocce scoscese, ora attraverso una piantina esile che silenziosa sale slanciata verso il cielo squarciando la nuda pietra, ora con le “incrostazioni licheniche”: è tutto racchiuso lì, in quei centimetri di Vita strappata al Nulla, di semi germinati per caso, di organismi che “fanno comunella”, di atomi assemblatisi tra loro.